20/10/2017 | 18:14
Prima squadra

Pane, calcio e fantasia: vita e aneddoti di capitan Emerson

Capitan Emerson Ramos Borges si racconta: il Brasile, l\'arrivo in Italia e il calcio come motore della sua vita.

Capitano non si nasce. Si diventa. Il calcio dentro le ossa, nella testa e nel cuore, senti subito di averlo. Fa parte di te, dei tuoi pensieri e delle tue emozioni. Il pensiero quando ti svegli al mattino e quando di addormenti la notte. Una sorta di grande amore, senza essere troppo blasfemi nellassociare un gioco alla propria met. Del resto, quando nasci in Brasile difficile non essere catalizzati da quella sfera a losanghe bianche e nere, come nellimmaginario comune il pallone. Che gi poterne disporre, pur negli anni in cui Zico e Romario tappezzavano edicole e murales, era una gran fortuna. Fortuna che non manca a Emerson Ramos Borges nel suo cammino da Joinville allItalia, nellascesa che grazie a una passione spasmodica lha portato a volare nel Belpaese e ad arrivare fino alla Serie A.

IL BRASILE

Il Maracan per il calcio. Copacabana per i non calciofili. Immagini di un Brasile da cartolina. Come se un Paese di 207 milioni di abitanti su una superficie di 8 milioni e mezzo di chilometri quadrati (lItalia non arriva a 350 mila, ndr) possa restringersi a sole due immagini. Ebbene no, il Brasile tanto altro: mix di culture e di sfaccettature, dalla riva dellAtlantico allentroterra. E Joinville, pur essendo non lontana dallOceano, era comunque una realt non propriamente turistica.

Seicentomila abitanti, in una citt tipicamente industriale. Ma alla fine nel mio quartiere ci conoscevamo tutti. Si viveva bene, eravamo tutti amici

Emerson cresce in una casa accogliente e con una famiglia pronta a supportarlo nelle proprie scelte.

Mio pap mi ha sempre dato la possibilit di vivere bene, di poter mangiare e dormire. Rispetto ad altri bambini ero sicuramente fortunato. Mi divertivo a giocare in un cortile grande. Con mio fratello, pensavamo tutto il giorno al calcio. Forse ce lavevamo nel sangue

Lo dicevamo. Il calcio nel sangue ed difficile non poterci pensare quando anche tuo pap e il fratello pi grande giocavano a calcio. A livello amatoriale o semiprofessionistico non importa. Anche perch non sempre a quei tempi si poteva privilegiare le proprie passioni alle responsabilit famigliari.

Mio nonno ha sempre messo davanti il lavoro. Era rigido, ben pi di quanto lo sia stato mio padre che invece mi ha sempre supportato. Lui ha sempre giocato per la squadra del quartiere. Il Pirabeiraba stata anche la squadra in cui ho esordito io.

Ma la vita di Emerson in Brasile non propriamente tranquilla come la dipinge. Perch per giocare a calcio non basta solamente il giardino di casa. Chilometri su chilometri in bicicletta, per trovare un campo dove migliorarsi. Fogli di giornale e scotch per farne una palla e inventarsi una partita. Non difficile pensare che il pallone fosse il miglior compagno di giochi di Emerson. Con buona pace della mamma

Quando vado a dormire mi ricordo ancora dei vetri rotti della lavanderia. Ma in quegli anni quando avevo il pallone uno dei pensieri pi ricorrenti era quello di una rovesciata davanti a uno stadio di 100 mila spettatori

Fantasie di un piccolo calciatore che per costruirsi la sua strada deve affrontarne una pi tortuosa. Ma sempre con quella passione a far da sfondo alle peripezie da adolescente.

Giocavamo solitamente per strada o in campi in terra battuta. Spesso per io e mio fratello attraversavamo il fiume che taglia il mio quartiere per andare di nascosto al campo del Pirabeiraba per battere le punizioni. Lui in porta, io a calciare. Fino a quando non ci scoprivano e dovevamo scappare.

Le punizioni, per Emerson, sono un chiodo fisso.

Andavo anche a fare il raccattapalle per la squadra del quartiere. E appena finiva il primo tempo, prendevo il pallone e andavo in campo. Piazzavo la sfera in un punto e battevo le punizioni. In quelle occasioni cera anche un buon pubblico: in cuor mio speravo che le persone presenti facessero il tifo per me.

LAPPRODO IN SARDEGNA

Nella vita di Emerson non c stato settore giovanile. Pulcini, Esordienti o Allievi? Nulla di tutto ci. La sua crescita dettata da una passione inesauribile e dalla possibilit di cogliere le occasioni di giocare sul campo come maturazione sotto il profilo tecnico.

Non ho mai fatto la trafila. Giocavo nella squadra del mio maestro Badu, che ancora oggi allena i ragazzi per toglierli dalla strada.

Il calcio inizia a diventare un lavoro. Non proprio il professionismo che si aspetta lui.

Ho lavorato per unazienda a cui servivano i giocatori per fare i tornei. Del resto nella mia testa cera solo il calcio.

Alle prime esperienze tra le fila dei club brasiliani, fra cui anche il Palmeiras, fa seguito lapprodo in Italia. Un passaggio fortunato, come ammette lui stesso.

Lo dico sempre a tutti. Ho avuto fortuna ad avere la doppia cittadinanza e soprattutto circondarmi di persone che mi hanno adottato e trattato come un figlio. Non sempre si cos fortunati, invece io ho avuto sempre la possibilit di pensare unicamente a giocare a calcio. In tanti cercano la fortuna, in tanti casi bisogna anche essere bravi a portarla dalla propria parte, ma trovare la gente che ti aiuta non facile.

Tra le persone che lo aiutano c sicuramente il cugino Paulo, anche lui in quella Sardegna che diventa terra di approdo e di fortuna, alla quale Emerson dimostra ancora oggi eterna riconoscenza e grande senso di appartenenza.

Ormai sono tanti anni che sono qui, mi sento italiano e in particolar modo sardo. Qui ho messo su famiglia e conosciuto tanti amici. Un domani, quando non giocher pi a calcio, penso che torner sullIsola.

Quindi la Sardegna e non il Brasile. E la saudade?

La saudade c sempre. La saudade della famiglia, degli affetti. Ma credo che la mia vita sia italiana. Ho costruito qualcosa di importante qui, ma appena ho loccasione torno sempre volentieri per rivedere i parenti, gli amici, le strade e i campi in cui giocavo.

La lontananza non cosa da poco. Ora ci sono Skype e Whatsapp, videochiamate a costo zero. Diversamente da quando era appena arrivato e per sentire la voce di che era oltreoceano doveva ancora ricorrere alle cabine telefoniche.

Spesso finivo il credito. Tornavo a casa senza aver potuto salutare i miei genitori. Ora diverso: lItalia molto pi avanti del Brasile. Qui c tutto

Aver tutto, per una persona umile come Emerson, quasi motivo di disagio.

Chi gioca a calcio viene trattato con i guanti, quasi come se fosse in una palla di cristallo. Ma io non la vivo cos. Non mi piace la parola calciatore, credo di essere una persona normale.

Non si crogiola nel fatto di aver vissuto la Serie A, ma con lumilt di chi non ha perso contatto con la realt, Emerson Ramos Borges non mette da parte il suo passato.

Sono uno che si adatta. Da piccolo facevo il bagno nellacqua sporca. Nel 2002 ho vissuto in una foresteria con 36 ragazzi. Per il calcio ho girato molto, ma per fortuna mi so adattare. Mia moglie dice che sono un po uno zingaro. Quando ci spostiamo il mio pensiero va a loro, che spesso devono cambiare posto, persone, amici e abitudini in virt del mio lavoro.

IL PRESENTE E IL FUTURO

Sal lultima tappa in ordine cronologico di una carriera che ha visto Emerson girare in lungo e largo per il Belpaese, giocando in tutte le categorie. Anche nella massima serie come detto. Ma ora il suo presente sul lungolago, sempre con la famiglia al seguito e con laffetto da parte dei nuovi compagni che fin da subito gli hanno testimoniato grande stima.

Fisicamente e mentalmente sto bene. Qui ho tutto quello che mi serve: ho la stima e la fiducia di tutti. Di cosa mi posso lamentare? Beh forse mi lamento in campo con larbitro o per le sconfitte, ma nella mia testa so sempre che devo ringraziare per tutto quello che ho e che ho sognato di fare da tutta una vita.

Laneddoto sulla fascia da capitano non pi segreto, ma evidenzia il valore della persona e del calciatore.

Il fatto che mi abbiano consegnato la fascia una bella responsabilit. Non me laspettavo, anche perch non sono venuto qui con questo pensiero. un piacere essere scelto da un gruppo di ragazzi, ma credo che il capitano non sia un ruolo. S, forse la fascia va indossata da uno solo ma visto che dovevo essere io, ho voluto far scrivere sopra i nomi di tutti i componenti della squadra. Il capitano non sono io, siamo tutti noi.

Sempre presente, nessuna assenza in campionato. Per Emerson la vita a Sal costituisce una sorta di seconda giovinezza.

Cerco di tenere a lungo la condizione per stare bene e aiutare la squadra. Non sono scaramantico, quindi non ho problemi a dire che vorrei davvero portare la Feralpisal in Serie B e aver la possibilit di ritornare a giocare in cadetteria.

Mai porre limiti ai traguardi. Un monito anche nei confronti dei suoi compagni.

Ho conquistato la promozione dalla B alla A quando avevo 33 anni. Gi allora sembrava che andassi verso fine carriera. Lo dico a tutti i compagni con cui ho avuto la fortuna di giocare: non bisogna mai pensare ai limiti. Limportante dare il massimo, ricordandoci che c sempre qualcuno che ci guarda da lass e che non siamo mai soli nella vita. Se facciamo del bene, tutto torner indietro.

Parole che denotano saggezza e ancora grande voglia di conquistare obiettivi sul campo. Proprio per questo, a chiedergli se ha gi pensato cosa far nel suo futuro, le idee sono tuttaltro che chiare.

Non lo so ancora. Forse sbaglio, ma non ho ancora pensato a nulla.

Trasmettere un sogno, il suo, potrebbe essere la via.

Mi piacerebbe avere una mia scuola calcio per raccontare ai bambini dei giorni in cui rompevo i vetri della lavanderia di mia mamma e delle uscite di soppiatto per andare a giocare a calcio. E far capire loro che i sogni sono tutto nella vita.

Ma prima di insegnare a sognare, Emerson vuole continuare a godersi il suo personalissimo sogno. Che forse gi una piacevole realt.


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