Il testo di Marino Bartoletti, per la rubrica "Eupalla" dell'ElleDiGì Magazine di Ottobre.
Feralpisalò come Lanerossi Vicenza. Non vi sembri un paragone audace, o non pertinente, o addirittura fuori luogo. C’è una generazione – la mia – che è cresciuta nel mito di quel meraviglioso binomio di provincia ai confini con l’antonomasia. Erano veramente un tutt’uno: il nome della città e l’impresa (proiettata verso il futuro e attenta al sociale) che, sin da quando l’acquisì nel 1953, fece di quella squadra una bandiera anche di modernità. Oltre che di tanti successi.
Sarebbe bastata questa premessa a farmi provare simpatia per la società verdeblù di cui mi è stato chiesto di parlare e per i suoi due grintosi leoncini: ma, in più, in soli dodici mesi sono mi sono accaduti due episodi personali significativi che mi piace rammentare. Uno di grosso impatto, legato alla conoscenza del suo presidente; l’altro “minore” e casuale, ma – per me – egualmente emblematico.
Luglio 2017. Sono a Dimaro per lavoro, dovendo seguire il ritiro del Napoli. Folla, eccitazione, (comprensibile) ambizione, attenzione mediatica a livelli estremi. Maurizio Sarri sta preparando un altro assalto alla Juve: ma non sa ancora che 91 punti e tanto bel gioco non gli basteranno. Eppure, attorno a quel frullatore di passione, se Dio vuole ci sono la malìa e la pace di un territorio straordinario: esclusivissima porta d’accesso alla Val di Sole. Con me non posso non avere le mie due bici: quella da strada per “sfidarmi” verso Madonna di Campiglio e la mountain bike per scoprire le bellezze più nascoste. Quella mattina “vincono” la due ruote fuori strada. E risalgo, in parte su una ciclabile e in parte su un sentiero, il torrente Noce affollato di devoti più o meno occasionali del rafting: le cui urla scomposte a fatica vengono coperte dal muggito dell’acqua. Così mi sposto più a monte e, verso Mezzana (300 metri più in alto di Dimaro), mi appare la più inattesa delle scene: un gruppo di calciatori che si allenano in tutta pace. Senza telecamere, senza tifosi aggrappati alle reti, senza giornalisti invadenti. Sinceramente non riesco a riconoscere nessuno se non forse, in tuta, Michele Serena che ricordavo nella Sampdoria del dopo-scudetto, nel Parma e nell’Inter. Ma questo – mi verrà perdonato – non mi aiuta a identificare la squadra. Poi mi basta guardare i pullmini coi quali evidentemente vengono portati al campo i giocatori: c’è scritto Feralpisalò. Ricavo dal tutto una piacevole sensazione di professionalità e di tranquillità assieme. A pochi chilometri l’apocalisse; davanti ai miei occhi la quiete di un lavoro serio e composto. Io, lì in mutande sulla mia bici, unico spettatore di quello spettacolo di serenità applicata allo sport, non posso non provare amicizia e sintonia.
Giugno 2018. Sala della Giunta del Coni al Foro Italico. Francesco Ghirelli, allora segretario generale e adesso presidente della Lega Pro, mi chiama a moderare un convegno che culmina con un premio molto importante (“Sport e Legalità”, assegnato l’anno prima a Franco Gabrielli, Capo della Polizia). E quello stesso premio viene conferito a Giuseppe Pasini, presidente della Feralpi. Poche parole le sue: nessuna sbagliata: “La Feralpisalò ha voluto estendere il suo ramo di attività e aprirsi anche in favore di tutti quei ragazzi a cui la vita e la natura hanno riservato abilità diverse. Abilità che si pensava non permettessero loro di andare a giocare a calcio e di vestire una maglia ufficiale, non di quelle acquistate nello store del Club, ma con il pieno valore dell’essere rappresentativo di quei colori. Abbiamo abbattuto questa barriera. Non architettonica, ma di sostanza e di concetto. Perché lo sport è una sfida, che si traduce spesso in un ostacolo da superare, ma è tutto fuorché divisione o impedimento”. Aggiungendo: “Non tutti i nostri ragazzi che si avvicinano all’agonismo diventeranno calciatori, ma tutti diventeranno uomini. E proprio da questa convinzione abbiamo tracciato una linea. Un percorso che possa permettere loro non solo di potersi esprimere nel modo migliore, all’interno di strutture adeguate alla loro maturazione sportiva, ma anche di crescere nell’ambito della propria personalità. Coltivare questi valori è un altro modo per restituire qualcosa di concreto a un territorio che noi amiamo”.
L’avrei abbracciato, ma il cerimoniale non lo consentiva. Quando, poche settimane dopo, a Pescara, durante il sorteggio del calendario del campionato qualcuno mi chiese quale fosse in Serie C la mia “squadra del cuore” risposi che, in mancanza di quella... originale della mia città natale retrocessa in D, avevo scelto la Feralpisalò.
Lo confermo! Perché per me il calcio e lo sport in generale sono esattamente quello che la società del Presidente Pasini da dieci anni rappresenta.